Quarta Parete per Be. Albedo
verso la casa di Bernarda Alba di Federico Garcia Lorca"
OPERA TEATRALE DI REALITY ALCHEMICO
-COLORI: bianco-nero-oro
2008- Messa in scena : Laboratorio Sperimentale Sobborghi
Produzione: Sobborghi con il contributo del Comune di Siena
Regia e drammaturgia : Duccio Scheggi
Interpreti: Altero Borghi (Federico), Elena Stasi (Violenza), Ve. Riv. (Pigrizia), Francesca Ciucci (Tirannia), Marta Montanelli (Arroganza), Clizia Corti (Superbia)
Luci,Foto, Musica e Grafica : Millo
Costumi: Marta Montanelli
Maschere Bianche: James Harris
Maschere Nere: Claudia Lipari
Lo spettacolo ha l'intento di mettere in scena negli attori selezionati una caratteristica che è propria delle loro vite , in quanto un carattere comune , che aposteriori recitando a teatro il loro inconscio riconosca come carattere già vissuto in forma teatrale e quindi non adatto alla vita ; il levarsi la maschera finale è effettivamente abbandonare un personaggio che vive in noi . Il progetto è quindi da prima di lavoro sul attore-attrici a livello catartico per mettere in atto un opera iniziatica , poi in secondo luogo un omaggio complessivo alla storia del teatro , soffermandomi in paricolare sul barocco , la commedia dell' arte poi Artaud , Pirandello , Beckett , Kantor , Brecht e prima di tutti Federico Garcia Lorca . Lo spettatore in questo progetto è un elemento totalizzante e basilare . Completa l' atto iniziatico dell' opera ed è messo alla prova a fine spettacolo . Chi avrà il coraggio di ammettere i propri personaggi ? riusciremo mai a vivere al di là dell' equazione la vita stà al teatro come il teatro stà alla vita ? Cinque attrici interpretano il proprio carattere ( non più banale personaggio , rifacendomi al inglesismo ,o persona in senso latino , ma quello che dovranno interpretare è un vero e proprio loro sentire tout court ). Come l' idea di teatro stessa e di quarta parete che in un contesto di teatro all' aperto assumerebbe accezioni erronee sia per il publico che per gli attori . L' opera teatrale deve servire allo spettatore per riflettersi . La ricerca del sé non si vende, prima di affrontarci con assoluta franchezza preferiamo mille volte venderci a quel gran teatro che è il mondo. L' alchimia ha il proposito di ricercare la pietra filosofale, che mi propongo , grazie all' ingresso dello spettatore nello spettacolo, di rendere disponibile alle menti di larghe vedute, predisposte o adattabili a questo rituale artaudiano, poiché l' oro alchemico lo si trova spiritualizzando la materialità o materializzando la spiritualità, così come l' attore fa vivere in sé i personaggi e lo spettatore li fa rivivere nuovamente in sé reinterpretandoli, immedesimandovisi durante la rappresentazione. La formula è traducibile anche nel nostro quotidiano creando intorno a noi una quarta parete mentale per non essere direttamente coinvolti nella messa in scena del reale per riuscire invece ad avere una visione distaccata e sobria possibile del vivere, potendo così muovere i personaggi che abbiamo in noi stessi e che gli altri vedono erroneamente nel nostro potenziale Sé in continua metamorfosi. La ricerca dell' oro interiore, tramite la trasmutazione delle impurità elucubranti che vagano in noi, c' è data da questo "teatro pietra filosofale". L' albedo, sin dal titolo, è strada da percorrere per arrivare ad essere, è una delle ultime fasi di costituzione di elementi che stanno per diventare oro, e appaiono bianchi, come la luce dei riflettori teatrali ( il termine albedo “far sorgere in noi qualcosa di nuovo” è fase in alchimia preceduta dalla nigrendo, fase nera della pietra, simbolizzata nella messa in scena dai colori dei cinque personaggi : quando uno mostra bianco dentro è nero, quando uno mostra nero dentro è bianco : recitiamo sempre ciò che non siamo per un effetto di poli calamitati che ci danno l' illusione di equilibrio) in questo caso il materiale in lavorazione sta per tornare ad essere uomo e lasciarsi dietro le impurità di personaggi che non gli appartengono, l' oro è il ritrovare la vita, la vista. Nel mondo circolano automi pirandelliani, personaggi che con la consapevolezza ultima di sapersi tali riescono a vivere senza dubbi gnostici, trascurando ciò che è l' evoluzione dell' individuo (o falsa identità) e dello spirito (nel senso surrealista); ora possono farlo consciamente. Nel volersi estraniare con il suo svelamento dal mondo il protagonista si ritrova sarcasticamente in scena al centro di esso, nonostante alla fine si converta ad umile spettatore. Tutti recitiamo, in qualsiasi abito, ambito, luogo. Ma il teatro è struttura-confine per questo nostro recitare (un posto riconosciuto convenzionalmente) un buon motivo per il nostro inconscio per iniziare ad abituarsi a questa verità ultima; il mondo torna ad essere luogo per vivere. Chi esce dallo spettacolo lo fa per vivere. Il teatro è alchemico ma è anche iniziatico; è necessario visitare, e far visitare il nostro io, com' è necessario curarsi. La presunzione brechtiana, di svelamento straniato diretto nel personaggio si fonde con l' unione di questo con figure pirandelliane. Con Pirandello, la trilogia sul meta-teatro, le sue spiegazioni su cosa sia un personaggio, che forse iniziava ad avere una concreta posizione nei "I giganti della montagna", mi sono proposto di terminare la sua opera teorica; il dilemma finale tra personaggio e attore , per la morte del personaggio, era stato rarefatto per il contesto politico, come del resto succede con "La casa di Bernarda Alba" di Garcia Lorca ; il mio intento qui è di dimostrare come anche la politica sia forma di teatro facendo interpretare dall' attore-personaggio-regista il ruolo di spietato dittatore e di docile porta borse al ministero teatrale. L' ultima grande sfida che si cela nella pièce è nei personaggi stessi per sostenere una tesi-antitesi-sintesi (o la domanda su un probabile sillogismo perfetto) di come l' Arte (interpretata dal protagonista) possa sussistere dopo la morte di se stessa, o dell' Artista (interpretata dallo stesso, quando reinterpreta Bernarda) nelle proprie Opere d' arte (interpretate dalle maschere) e di come queste hanno più o meno vita propria e indipendenza, o interdipendenza, nei confronti di arte e artista, dopo i loro decessi. Quindi avremo una situazione in cui l' arte non si riconosce in se stessa e per riconoscersi dovrà interpretarsi tramite l' artista che a sua volta dovrà reinterpretare l' arte e non identificandosi vorrebbe affermarsi tramite le vite dei propri figli, ovvero le opere, che a loro volta non riuscendo a specchiarsi (non del tutto in senso lacaniano) nella madre decidono di essere figlie di se stesse rompendo così la dialettica platonica ; un' atto suicida per un personaggio, che disconosce l' attore, e altrettanto suicida per l' opera d' arte che non fa rivivere in sé né l' arte né l' artista che l' ha creata; ne risulta la mondanizzazione dell' immagine e delle creazioni, l' abnegazione quotidiana della forma d' arte, la vittoria del commercio artistico. Se l' arte è immortale, lo è anche l' opera d' arte? La risposta non è così scontata. Lo spettacolo parla di noi. Lo spettacolo parla sempre e comunque dello spettatore perché interpretato dagli attori che sono spettatori del personaggio e dagli spettatori che sono interpreti del'l interpretazione del personaggio, il teatro è un labirinto di specchi. Il personaggio in una sorta di seduta da le spalle al teatro stesso, al fuori-fondo scena, il suo analista è di fatto il suo teatro, e la vita e lo spettatore esterno sono la sua malattia da curare, nel sognare il personaggio cura lo spettatore. Il protagonista prosegue la messa in scena celebrando così l' eterno ritorno del personaggio che vuole ostinarsi ad essere, per questa sua incoerenza di vivere ripetendosi; invece di abdicare in favore dell' uomo, il suo proprio personaggio interiorizzato gli servirà per vincere battaglie che ancora non ha neppure cominciato, poiché nel momento cruciale in cui gli è richiesto di vivere invece di reagire da uomo continua ad usufruire dal proprio eterno personaggio e a mostrarsi da tale per non essere preso in contropiede dal pregiudizio sociale che vede nell' imprevedibilità un sinonimo perfetto di follia e nella ripetitività incosciente un sinonimo di personalità .Il peccato originale: non potere mai più essere ciò che veramente siamo.
Duccio Scheggi (Inverno 2007)